Lunedì, 30 Gennaio 2017 19:19

Perche si chiama "Répit"?

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Il “ritorno effimero in vita dei bambini mai nati” viene spesso indicato con il termine francese “répit”. Si ritiene in genere che il primo studioso “moderno” di questo fenomeno millenario a utilizzare tale termine sia stato Émile Nourry, esperto di folklore, che pubblicò nel 1911 un saggio sul “rito della piuma” con lo pseudonimo di Pierre Saintyves.

I significati etimologici derivabili da tale sostantivo sono molteplici: termine di pagamento; si dice di una persona che si è rimessa dopo una malattia grave; Sosta, sospensione momentanea di un’azione, di un obbligo, di una tensione, di una sofferenza fisica o morale, interruzione, pausa, riprendere fiato, tregua; tempo di riposo, rilassamento, allentamento, sosta, pausa; riposo, rilassamento salutare, pausa di alcuni giorni, anno, istante, giorno, momento, settimana, tempo di pausa.

Ma Saintyves, in verità, permuta “répit” da un passaggio, preso quasi letteralmente, di un corposo lavoro dell'abbé Corblet che, nel 1881, aveva raccolto in otto tomi le sue ricerche sulla storia e le origini del Battesimo e già citava alcuni casi francesi di “ritorno effimero in vita” dei bambini mai nati.

Ismerie 1

Secondo il prelato, che non fornisce chiarimenti in merito, la denominazione sarebbe stata coniata in Piccardia e si riferirebbe non al rito, bensì al luogo in cui si svolgeva: “En Picardie on donnait le nom de répits, aux chapelles qui étaient censées jouir de ce privilège miraculeux” (In Piccardia è stato dato il nome di répit, alle cappelle che erano reputate beneficiare di tale miracoloso privilegio).

E poiché, nella regione i “répit”, conosciuti sono soltanto due - la Cattedrale di Amiens e Notre Dame de Liesse - è possibile che il nome o soprannome originario sia fiorito presso uno dei due santuari e in seguito sia diventato di uso comune.

Tra i due, il più antico e più probabile luogo di origine del termine è Notre Dame de Liesse, la cattedrale che custodisce una delle più antiche Vergini nere francesi, che operò prodigi della “doppia morte” per secoli prima che la stessa usanza cominciasse ad essere praticata anche ad Amiens (dove il primo caso risale al 1655 e si verificò nella Cappella dell'Annunciazione, di fronte alla pala d'altare di Nicolas Basset). La sua storia leggendaria è all'origine dei suoi numerosi prodigi tra i primi dei quali, appunto, figura proprio una “doppia morte”: la vita sarebbe stata brevemente restituita, infatti, tra il XII e il XII secolo, al figlio di un mercante borgognone. Si racconta che la madre si fosse addormentata durante il bagno lasciando cadere in acqua il bambino, di soli quindici giorni. Il mercante, tornato a casa, avrebbe trovato la consorte in prigione accusata di infanticidio e il figlio già sepolto da almeno quattro giorni.

Per tentare di salvare dalla pena di morte la moglie, il borgognone aveva infine deciso di disseppellire il corpicino e di portarlo al cospetto del giudice per dimostrare che si era trattato di un incidente. Ma, una volta che il bimbo era stato tra le sue braccia, vedendone lo stato ancora buono di conservazione, si era lasciato andare a una preghiera alla Signora di Liesse - alla quale era molto devoto e che già aveva invocato tempo prima affinché proteggesse quel parto - e improvvisamente il figlio aveva cominciato a dare segni di vita.

Ismerie 2

Il nome “répit”, potrebbe celare le sue origini nella leggendaria vicenda della statua della Beata Vergine Nera di Liesse. Per quanto poco o nulla, a parte il colore dominante, richiami quel lontano paese, il simulacro proviene dell'Egitto.

Protagonisti del suo arrivo in terra francese furono i Cavalieri di San Giovanni, stanziati nella vicina Làon, presso l'Abbazia di San Giovanni. La frammentaria ma precisa memoria lasciata dal cancelliere dell'Ordine fra' Melchiorre Bandini, racconta di come, nel 1134, tre dei cavalieri laonesi erano partiti per la Terra Santa e si trovavano quell'anno impegnati al confine meridionale del Regno di Gerusalemme, dove il re Foulques aveva affidato all'Ordine Ospitaliero la fortezza di Bethgebrim, l'antica Bersabea, all'indomani della conquista di Ascalona, presidiata invece dai Templari. Nel mese di Agosto i tre erano caduti un'imboscata tesa loro dai soldati del califfo egiziano mentre pattugliavano la strada di collegamento fra le due città.

Portati in catene fino alle prigioni de Il Cairo, gli aguzzini del califfo avevano senza successo tentato di convincerli a convertirsi all'Islam. Infine il califfo in persona, adirato per la loro resistenza, aveva mandato da loro l'amata e piacente figlia, Ismérie, con la speranza che cedessero alle sue lusinghe. Ma a vacillare era stata invece la stessa “sultana”, colpita dalla parole e dalla venerazione per la Vergine che i tre mostravano. Così, per metterli alla prova, aveva chiesto loro di realizzarne un'immagine, affinché potesse vedere con i suoi occhi questa figura celestiale e aveva dato loro strumenti e un lume. Nella notte, nonostante il Signore d'Eppes, il Signore di Marchois e il terzo cavaliere (di cui non si ricorda il nome), non avessero alcuna velleità e capacità artistica, era accaduto il prodigio. Un angelo aveva scolpito per loro, mentre dormivano, una statua della Vergine.

Il mattino seguente Ismérie, profondamente colpita dalla visione di quella effige, l'aveva portata nei suoi appartamenti. In sogno la Vergine le era apparsa, convincendola a convertirsi e a liberare i tre cavalieri e così era accaduto. Il quartetto aveva viaggiato per giorni nel deserto, cercando di sfuggire ai soldati del califfo, finché si erano addormentati sotto una palma e di nuovo, prodigiosamente, erano stati trasportati fino a Liesse.

Ismérie aveva ricevuto il battesimo con il nuovo nome “Maria” e aveva vissuto presso la cappella, pare, fino alla morte. Il suo corpo santo sarebbe stato sepolto nella navata della nuova cattedrale in costruzione, insieme ai tre eroici cavalieri.

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Dove finisce la storia, però, comincia il mistero. Il racconto si snoda tra la realtà terrena e la dimensione del sogno che si alternano ripetutamente, indicando la precisa volontà di ricollegare e rendere “cristianamente” accettabili fatti che, altrimenti, non lo sarebbero. La verità, se ancora è possibile scorgerla, si nasconde nei dettagli.

I protagonisti sono tre, ma soltanto due hanno un nome, uno invece rimane imprecisato, quasi come se non fosse possibile attribuirgli - o non ce ne fosse bisogno - neppure un titolo oltre a quello generico di cavaliere. Sono dunque davvero tre diversi individui o sono forse le tre (in senso simbolico) “personalità” di uno stesso guerriero?

Quanto a Ismérie, ha un nome davvero insolito e tutt'ora senza una spiegazione esaustiva. Potrebbe essere una corruzione, come molti sostengono, del nome proprio germanico “Ismar”, il cui uso in Piccardia, però, non è semplice da motivare. Compare altrove solo nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, secondo cui si chiamava così la Madre di Santa Anna e nonna della Vergine Maria, di cui non c'é tuttavia, alcuna altra traccia, neppure biblica.

Scarsamente invece, poiché l'idea dominante è che la statua non possa essere venuta dall'Egitto e quindi la storia sia una “devota fantasia”, l'attenzione è stata rivolta proprio ad una possibile origine “moresca”. Nella lingua araba, esiste infatti il termine “izmer” o “zmer/zemer”, dalla radice “zmr” che, variando le vocali inserite (secondo la costruzione lessicale semitica), assume molteplici significati tra cui “cuore”, “avere a cuore” cioè “amare” e “fare musica/cantare”.

Nella forma in cui si presenta potrebbe assumere un valore ”passivo”, quindi potrebbe essere tradotto come “colei che sta a cuore a”, “l'amata da”. E questo è precisamente l'equivalente dell'antico titolo egiziano “mer-i-amon”, “amata da Amon” (e anche “nel cuore di Amon”), con cui veniva invocata la dea Iside. Più precisamente il nome completo era Is (is) Meri-a(mon), da cui potrebbe essere stato derivato Isméria/Ismérie.

Curiosamente, poi, il nome Ismérie viene attribuito indifferentemente sia alla “sultana” convertita che alla sacra effige di Nostra signora di Liesse. Essa stessa è Ismérie. Il motivo di questa confusione, solo apparente, è nella particolare spiegazione, assolutamente non gradita a Santa Romana Chiesa, che anticamente i fedeli di Liesse davano della venerata statua. In essa non vedevano un Madonna con Bambino, bensì - ce lo ricordano i primi “storici” che scrissero dei fatti di Liesse - la principessa egiziana Ismérie assisa in trono che “presenta” la Vergine. Quest'ultima dunque sarebbe stata rappresentata come una giovane Maria, Maria Bambina o Maria Nascente.

Così l'immagine ricorda molto la scultura antica egizia, non nelle forme ma nell'impostazione, con la divinità di grandi proporzioni, ai cui piedi o presso le cui ginocchia sta il faraone, di proporzioni nettamente più ridotte, che è anch'egli una divinità, ma di “rango inferiore”, più “terreno”, non ancora assunto nelle schiere celesti, in divenire.

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L'aiuto provvidenziale che la Vergine Nera Ismérie elargisce è la “liberazione dalle costrizioni” (dalle catene): emancipa la principessa dalla non-fede (dalla non-credenza nella Vergine cristiana), attraverso di essa affranca dai ceppi i tre cavalieri e infine riscatta il quartetto dalla permanenza forzata in terra straniera, trasportandoli nel sonno fino a Liesse.

Questa stessa particolarità è propria della dea Iside Egizia in quanto “mer-i-amon”, in un suo particolare aspetto venerato, come altri, nell'immagine di una misteriosa e assai invocata dea dalla testa leonina (il leone è rappresentazione della forza che si sprigiona) che aveva templi da Elefantina ad Athribis. Africana era la sua origine, non tanto per la pelle scura (con cui tutti gli dei egizi venivano raffigurati) quanto perché rappresentata accanto a una gazzella, animale delle savane e tipica preda del leone, ma che il leone “può decidere” di lasciare libera.

Altrettanto “africana” doveva essere Ismérie, spesso indicata come “soudane”, non nel senso di “sultana” ma di “sudanese”: il padre è infatti stato identificato in uno dei califfi/imam egiziani (al-Ḥāfiẓ li-dīn Allāh), non in un sultano (il primo sultano d'Egitto fu Saladino, nominato nel 1175/1176).

La dea egizia era la protettrice delle cataratte, i “salti” o cascate del Nilo, vere e proprie porte attraverso cui l'acqua scura del fiume poteva raggiungere i campi e fertilizzarli. La sua benevolenza era della massima importanza affinché le cateratte rimanessero aperte, altrimenti l'acqua sarebbe rimasta imprigionata negli altipiani africani.

Era colei che “apriva la porta degli eoni”, poiché il giogo dei giochi, la prigione per eccellenza è il tempo, della cui progressione era la divinità. Era dunque il nume del rinnovamento, del tempo eterno e del rinnovamento. Poiché era “nel cuore di Amon” rappresentava il “cuore ideale” del defunto, leggero come la piuma, così da essere immune alla bilancia di Anubis, liberò dall'afflizione del tempo e degno di entrare nell'eternità.

Era venerata con mille nomi - Ahemait, Amam, Ammemet, Ammit, Ammut, Amtent, Aperetiset, Triphis (presso i greci) - e aveva il proprio importante sacrario nel tempio della nascita di Dendera e in tutti gli altri templi legati alla nascita terrena e alla rinascita. Ma aveva un nome particolare, lo stesso con cui veniva designata l' “immagine perfetta” di ogni Dio, come la miracolosa immagine di Liesse.

Il suo nome era Répit.

Ismérie, l'antica di tutti gli antichi è l'immagine (répit) di sé stessa che si rinnova (ringiovanisce, si mostra come bambina) in accordo con i nuovi tempi, liberandosi dal giogo della propria “vecchiaia”. La principessa “sultana” altrettanto, aveva visto sé stessa rinnovata e se ne era fatta veicolo, così come era accaduto a un'altra Maria a Nazareth molto tempo prima.

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Liesse è il luogo (in occidente) del nuovo rinnovamento, così come l'antico luogo (in oriente) è l'Egitto (antico). Proprio questa liberazione da una certa “spiritualità antica”, per quanto cristiana, a favore di una spiritualità nuova, ma che nello stesso tempo è più vicina a quella primordiale, è ciò che con buona probabilità, cercavano e sperimentavano i Cavalieri di San Giovanni e i loro fratelli Templari, almeno nelle iniziali intenzioni. Tant'è che a Malta, fin dal 1620 esisteva una chiesa dedicata a Notre-Dame-de-Liesse, in quanto “patrona” dei Giovanniti, che era stata costruita a spese personali del bailo d'Armenia fra' Giacomo Chenn de Bellay. Tra le sue mura si conservano tutt'ora le spoglie di San Generoso, personificazione della tenera prodigalità della Nera Vergine; un dipinto del 1623 del Casarino (allievo di Caravaggio) raffigurante San Mauro che guarisce un fanciullo e un altro dello stesso autore che ritrae San Luigi, annoverato tra i patroni del répit.

A chi portare, dunque un fanciullo morto prima-del-tempo se non a colei che del tempo-che-ritorna è Signora?

 

 

[Le foto di questo breve saggio sono tratte da Duployé, (abbé) Émile e Duployé, (abbé) Aldoric, Histoire de Notre-Dame-De Liesse, Liesse-Notre-Dame, 1862]

 


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BIBLIOGRAFIA

Bandini, (frà) Mechiorre, Historia di Detta Religione, 1464

Corbet, (abbé) Jules, Histoire dogmatique, liturgique et archéologique du sacrement de baptême, Paris, V. Palmé, 1881

Duployé, (abbé) Émile e Duployé, (abbé) Aldoric, Histoire de Notre-Dame-De Liesse, Liesse Notre Dame, Liesse-Notre-Dame. Pottelain-Masson, 1862

Duployé, Aldoin, Notre-Dame-de-Liesse: légende et pélerinage, Laon, Brissard-Binet, 1862

Duployé, (abbé) Émile e Duployé, (abbé) Aldoric, Légende et cantique de Notre-Dame de Liesse, Laon, Ed. Fleury, 1862

Le Clere, Adrien, Des pélerinages de Notre-Dame de Liesse, Paris, Librairie de A. Le Clere et Cie, 1833

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SaintYves, Pierre, Les résurrections d'enfants morts-nés et les sanctuaires à répit, in Revue d'ethnographie et de sociologie II (1911), Paris, Ernest Leroux, 1911

Villette, Etienne Nicolas, Histoire de Notre-Dame de Liesse, Laon, A. Rennesson, 1708

Villette, Etienne Nicolas, Histoire de l'image miraculeuse de Notre-Dame de Liesse: avec discours préliminaire sur la vérité de cette histoire, & sur l'antiquite de la chapelle de Liesse, Laon, C. Courtois, 1743


 

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Francesco Teruggi

Scrittore e giornalista pubblicista. Direttore delle collane "Malachite" e "Topazio" presso Giuliano Ladolfi Editore. Autore del saggio divulgativo "Il Graal e La Dea" (2012), del travel book "Deen Thaang - Il viaggiatore" (2014), co-autore del saggio "Mai Vivi Mai Morti" (2015), autore del saggio "La Testa e la Spada. Studi sull'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni" (2017), co-autore del saggio storico "Il Filo del Cielo" (2019) pubblicato in edizione italiana e in edizione francese. Presidente dell'Associazione Culturale TRIASUNT. Responsabile Culturale S.O.G.IT. Verbania (Opera di Soccorso dell'Ordine di San Giovanni in Italia).

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